Il Pozzo di Enzechetta e la Rinascita di Herculaneum

La catastrofe si abbattè su Herculaneum, Pompeii e sulle altre città vesuviane nell’ottobre dell’anno 79 d.C., cancellando definitivamente nell’arco di pochissime ore realtà urbane che nel tempo erano diventate mete di villeggiatura apprezzate dall’aristocrazia romana e campana (Herculaneum) e solide realtà commerciali che vedevano nelle produzioni agricole la principale fonte di prosperità (Pompeii). Nel caso di Pompeii la collina sulla quale insistevano le antiche rovine, poi denominata Civita, cominciò ad essere indagata già pochi anni dopo il disastro, in quanto i resti, soprattutto nell’area del Foro, erano ancora parzialmente visibili. La piazza forense venne infatti depredata dei marmi preziosi della pavimentazione e delle statue equestri che la delimitivano, essenzialmente allo scopo di ricavarne materiale da costruzione. Tra il 1592 ed il 1600 inoltre, gli scavi intrapresi nei pressi della Civita per la costruzione del Canale di Sarno, sotto la direzione di Domenico Fontana, riportarono in luce diverse parti di edifici e di iscrizioni pubbliche, attraverso lo studio delle quali gli eruditi del tempo identificarono il sito con l’antica Stabiae, e ci volle più di un secolo e mezzo (1748) affinchè l’area fosse definitivamente identificata con Pompeii.

Dell’antica Herculaneum si era invece persa ogni traccia, sepolta come fu da oltre 20 metri di coltre vulcanica, conseguente al disastroso flusso piroclastico che la investì tra le ore 01.00 e le 02.00 del 25 ottobre. Sull’area precedentemente occupata dalla città, nel Medioevo, sorse l’abitato di Resina, che nei secoli successivi, progressivamente, occupò la gran parte dell’abitato romano, sottraendo di fatto sempre più spazio e possibilità di riportare in luce l’intera area antica. Ma le pietre bollenti di Herculaneum premevano per riemergere dal buio della cenere e dei secoli, e l’occasione si ebbe in una giornata qualunque dell’anno 1710, quando un umile contadino, tal Ambrogio Nocerino, detto Enzechetta, impegnato nello scavo di un pozzo freatico per irrigare il proprio appezzamento di terreno, a furia di colpi di piccone, cominciò a recuperare numerosi frammenti di marmi pregiati che in seguito si riconobbero appartenenti alla parte scenica del Teatro di Ercolano,. Quei colpi di piccone in realtà resteranno impressi per sempre nella storia, perchè costituitranno il primo fondamentale atto della riscoperta delle città vesuviane sepolte e, in generale, il primo vagito per la nascita della moderna ricerca archeologica.

Le settimane che seguirono al tanto fortuito quanto clamoroso rinvenimento sono descritte con dovizia di particolari dal Giornale degli Scavi di Pompei del 1861, redatto dal celebre archeologo Giuseppe Fiorelli, nel quale si citano alcuni Mnoscritti inediti di Francesco La Vega rinvenuti nell’archivio del Museo nazionale: nel testo si racconta come Enzechetta avesse nella sua proprietà un giardino coltivato a fiori che i suoi figli andavano a vendere sulla piazza di Napoli; qui si trovava anche un pozzo che era diventato ormai troppo piccolo e poco profondo rispetto alla crescenti esigenze di produzione, tanto che loro stessi erano stati ormai costretti a comprare l’acqua all’esterno. Era dunque arrivato il momento di scavare un altro pozzo, decisamente più profondo e che si sperava potesse fornire al giardino tanta acqua quanta ne occorreva per accrescere le coltivazioni. Lo scavo deluse le aspettative dei contadini, perchè di acqua se ne tirò fuori ben poca, ma la sorpresa della incredibile scoperta di frammenti marmorei antichi fu lo stesso grande e stavolta davvero inaspettata. Di questi marmi di diversi colori, i pezzi più grandi furono conservati nella loro casa, mentre quelli più piccoli (per loro apparentemente insignificanti) furono via via gettati lungo la strada insieme alla terra: un giorno però si trovò a passare da quelle parti uno scalpellino il quale, accortosi della straordinaria qualità dei marmi, cominciò man mano a raccoglierli ed a portarli nella sua proprietà. Da questi frammenti costui ricavò il materiale per decorare varie cappelle nelle chiese di Napoli arricchendosi in pochissimo tempo e proponendo al duca D’Elboeuf, che nel frattempo stava facendosi costruire una maestosa residenza sul porto del Granatello, di visitare in tutta fretta la zona del pozzo di Enzechetta perchè in quel luogo “si potevano cavare delle buone pietre”.

Emanuele Maurizio di Lorena, duca D’Elboeuf e principe di Lorena, era il figlio minore di Carlo di Lorena e della sua seconda moglie Elisabeth de la Tour d’Auvergne, figlia del duca di Boillon. Nel 1706 fu al servizio dell’imperatore d’Austria Giuseppe I, che lo nominò luogotenente generale della propria cavalleria a Napoli: qui egli soggiornò dal 1706 al 1719, anno del suo definitivo ritorno in Francia. Nel 1711 commissionò all’architetto Ferdinando Sanfelice la costruzione della sua fastosa residenza privata a Portici: l’edificio fu chiamato Villa d’Elboeuf e costituì la prima delle 122 ville vesuviane cosiddette del Miglio d’Oro. Celebre è l’episodio che lo vide coinvolto al cospetto del re di Napoli e delle Due Sicilie. Nell’anno 1738 infatti Carlo III e la sua consorte Maria Amalia di Sassonia furono costretti a riparare sulla costa porticese da una tempesta che li sorprese mentre erano in navigazione nel golfo: i reali furono accolti dal duca D’Elboeuf presso la villa sul porto del Granatello e rimasero così meravigliati dalla fastosità della villa e dalla bellezza dei luoghi da convincerli alla costruzione di una Reggia a Portici, che divenne poi residenza estiva della corte. Questo evento dette anche il là alla costruzione di una serie di incredibili ville aristocratiche nel tratto compreso tra gli attuali comuni di Ercolano e Torre del Greco, che fu per questo denominato Miglio d’Oro.

Negli anni compresi fra il 1711 ed il 1716, il duca D’Elboeuf venne dunque a conoscenza, grazie all’incontro con lo scalpellino, dei reperti fortuitamente dissotterrati pochissimi anni prima nella vicina Ercolano e non esitò ad acquistare il fondo di Enzechetta col relativo giardino “dei miracoli“: cominciò dunque a scavare in proprio, riportando in luce una serie di statue e di decorazioni marmoree che trasportò presso la propria villa, arredandone sontuosamente le sale. Alcune statue furono anche regalate a suoi conoscenti ed amici membri dell’alta aristocrazia europea. Ma il re Carlo III che, come ricordato, aveva trovato ospitalità presso di lui nel 1738, oltre ad ammirare la maestosità della villa e l’amenità dei luoghi, ebbe certamente modo di notare anche le decorazioni antiche e di venire a conoscenza dell’esatta ubicazione del luogo in cui le stesse erano state recuperate e di lì a qualche mese intraprese lo scavo dell’antica Herculaneum, affidandone l’onere e l’onore ai valenti ufficiali dell’esercito borbonico, tra cui Roque Joaquin de Alcubierre, Karl Weber e Francesco la Vega. Quello che ne seguì è la storia della rinascita di una meravigliosa cittadina romana del I secolo d.C. .

Pubblicato da Camillo Sorrentino

Ha conseguito una Laurea Magistrale in Archeologia e Storia dell'Arte presso l'Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli" nell'ottobre del 2023, ed in precedenza una Laurea Triennale in Scienze dei Beni Culturali presso l'Università degli Studi di Salerno nel 2002. Dal 2018 e' Guida Turistica ed Accompagnatore Turistico, ha collaborato e collabora con diverse testate giornalistiche culturali on-line.

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